Nella mattina del 20 maggio 1859 il maresciallo Giulay mosse le truppe austriache sulla via Emilia, in direzione di Voghera, allo scopo di condurre una ricognizione offensiva sulla destra del fiume Po spinto dalla ripetute accuse di inazione e dal forte desiderio di “fare qualcosa”. La stessa idea sembra che avesse il generale Stadion, comandante del V corpo, incaricato dell’operazione. Dietro la falsa notizia che forti forze alleate avevano occupato Casteggio finì col dar scopo dell’operazione la loro cattura attraverso l’azione convergente di tre colonne. Ma la marcia non fu affatto sincrona. La colonna di sinistra procedente da Broni giunse per prima, la mattina del 20 maggio, a Casteggio che trovò sgombra, fece sosta in loco fino alle ore 11 poi procedette oltre fino a Genestrello. In quel luogo ci fu un primo tentativo di contenimento dell’avanzata austriaca ad opera dalla Cavalleria Sarda composta da squadroni di Monferrato, Aosta e Novara. Gli squadroni comandati dal generale De Sonnaz caricarono ripetutamente e riuscirono a trattenere l’esercito austriaco a Montebello. Le altre due colonne austriache arrivarono assai più tardi in vista di Casteggio. Alle 14 il generale Stadion ordinò a tutte le truppe di sostare nelle postazioni raggiunte rimandando al giorno dopo il proseguimento dell’operazione. In tal modo gli austriaci si trovarono disseminati in una vasta zona di pianura e collina. In Voghera si trovava il generale Forey, comandante della divisione d’avanguardia del I corpo Francese. Egli, avuto notizia di forze nemiche avanzanti da Casteggio, attorno alle ore 14:15 a capo della sua avanguardia, senza attendere l’arrivo di un’ulteriore cospicua parte della divisione, attaccò gli austriaci a Genestrello sostenuto validamente da alcuni squadroni della cavalleria piemontese. La fanteria francese avanzando da Sud della via Emilia superò il Fosso Agazzo e la Roggetta arrivando fino al fosso Mancapane dove fu arrestata dal fuoco del 3° battaglione Cacciatori austriaco; contrattaccata dallo stesso battaglione fu costretta a retrocedere fino al Fosso Agazzo. L’altro battaglione dell’84° fanteria francese fu impiegato a nord della via Emilia da tre compagnie e mezza del 39° reggimento di fanteria austriaco. Il terzo battaglione del 59° Fanteria austriaco che procedeva lungo la ferrovia non trovando nemici davanti a sé, diresse due compagnie su Cascina Nuova a protezione del proprio fianco destro. Con le restanti quattro compagnie eseguì un cambiamento di fronte sulla propria sinistra ed attaccò il terzo battaglione dell’84° francese obbligandolo a retrocedere. Si concluse così il primo scontro. Nel corso del pomeriggio dopo alcuni momenti trascorsi nelle proprie posizioni a ricostruire gli ordini di combattimento e in attesa di rinforzi l’esercito Francese riprese l’azione a Genestrello. Furono impiegate due brigate di fanteria quella comandata dal generale Beuret e dal generale Blanchard che, anche grazie all’apporto decisivo degli squadroni della cavalleria di Novara, riuscirono far indietreggiare l’esercito Austriaco fino a Montebello. Una volta perso Genestrello gli austriaci si disposero alla difesa di Montebello schierando tre battaglioni di fanteria in prima linea e, in seconda linea, due battaglioni di fanteria sei cannoni e due squadroni. Oltre a molte truppe di riserva. A questo dispiegamento di forze si contrappose la brigata Beuret ordinata in tre colonne d’attacco oltre alla brigata Blanchard. Si assistette quindi ad un primo attacco Francese che però non andò a buon fine. Attorno alle 17 vi fu un secondo attacco lanciato dalla Brigata Beuret che mise a dura prova la resistenza delle truppe austriache già provate dai precedenti attacchi costringendole alla ritirata all’interno dell’abitato. Mentre era in corso questo movimento due compagini di granatieri austriaci arrivarono a Montebello occupando la Chiesa parrocchiale e le case adiacenti. Intanto la brigata Blanchard avanzava nel piano concorrendo anche all’attacco di Montebello dove nel frattempo si svolgeva una lotta assai aspra. Intorno alle 18 gli Austriaci incominciarono a ritirarsi da Montebello effettuando la ritirata per scaglioni. Abbandonato il paese e ridotti a difesa estrema al cimitero (dove adesso sorge l’ossario Bell’Italia) furono risolutamente attaccati dai francesi. Un primo assalto fu respinto dalla fucileria e dall’artiglieria che sparava a mitraglia. L’assalto fu ripetuto dopo un intenso reciproco fuoco, dai francesi con un’azione degna delle migliori tradizioni della loro grande fanteria. In questa azione cadde colpito a morte il generale Beuret. Nel frattempo si svolse l’ultimo combattimento nei pressi della ferrovia. Le truppe francesi si difendevano nei pressi del fosso dei Gamberi. A risolvere la situazione accorse la cavalleria piemontese comandata dal tenente colonnello Tommaso Morelli di Popolo che grazie al suo attacco diede nuova linfa alle truppe francesi e insieme riuscirono a respingere il nemico austriaco. I cavalleggeri piemontesi subirono gravi perdite tra cui quella del Tenente colonnello Morelli di Popolo.
Le perdite complessive furono di 92 morti, 529 feriti e 69 prigionieri da parte francese; 17 morti, 31 feriti e 3 dispersi da parte piemontese; 331 morti, 785 feriti, 307 dispersi o prigionieri da parte austriaca.
Questa prima prova dell’esercito austriaco, ad onta di singoli episodi gloriosi, non fu di certo brillante. Da subito si parlò di “enigma di Montebello”. Certo la fanteria francese mostrò uno slancio ammirevole e una maggiore abilità tattica così come la cavalleria piemontese ma l’impiego da parte delle forze alleate di 6800 fanti, 800 cavalieri e 12 cannoni non giustificano la sconfitta austriaca considerando che quest’ultima si poté servire di un numero di forze circa tre volte superiore.
Questa prima vittoria franco piemontese ebbe grande importanza in quanto consentì ai loro eserciti di precedere le truppe Austriache sul Ticino conseguendo grande vantaggio per lo sviluppo futuro della guerra.
Possiamo quindi affermare con orgoglio che la battaglia di Montebello fu un passo essenziale nel proseguo della guerra e più in generale nel processo di unificazione dell’Italia.
Di questi episodi bellici vi sono tutt’oggi tracce a più di 150 anni di distanza ad esempio nelle mura esterne di alcune case del paese dove vi sono incastonate alcune palle di cannone e granate inesplose a perenne testimonianza di queste vicende.